Disposofobia, cure del disturbo da accumulo
La disposofobia, o disturbo da accumulo, è una condizione che richiede cure mirate. Non si tratta di un problema dovuto alla pigrizia, nè si tratta di svogliatezza o di disorganizzazione. Come per ogni altra condizione di salute mentale, è importante affidarsi a un terapista competente, esperto in questo genere di disturbi, per imparare a gestire i comportamenti legati all'accumulo e riprendere in mano la propria vita.
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Il disturbo da accumulo, anche noto con il nome di disposofobia, è una condizione di salute mentale che richiede cure specifiche e approcci mirati, un problema in cui il paziente avverte il profondo e irresistibile bisogno di conservare oggetti di qualsiasi genere. Chi soffre di questo disturbo, avverte al contempo una forte sensazione di ansia al pensiero di doversi liberare degli oggetti accumulati, indipendentemente dal loro reale valore economico o dalla loro effettiva utilità.
A lungo andare, la tendenza ad accumulare oggetti di ogni genere può portare la persona a sentirsi sopraffatta dalla mole di cose presenti in casa. Gli ambienti possono diventare man mano sempre meno vivibili, sempre più stretti, meno puliti e più pericolosi per l’incolumità del soggetto e dei suoi conviventi o familiari.
All’evidente accumulo di oggetti, nelle persone con disposofobia si associa anche la tendenza a tenere alla larga conoscenti, amici e parenti. Questa tendenza all’autoisolamento deriva spesso dall’imbarazzo che si prova all’idea di far vedere agli altri le condizioni in cui si vive, ma anche dalla voglia di sfuggire ai consigli e ai giudizi di coloro che potrebbero non capire il loro bisogno di conservare beni materiali di ogni tipo.
L’isolamento sociale che ne deriva, non fa che esacerbare il problema di accumulo, portando la persona a ricercare benessere psicologico ed emotivo aggiungendo altri oggetti in casa.
Disposofobia: etimologia della parola
Di seguito, vedremo quali sono le cure per la disposofobia. Prima, però, una curiosità. La parola deriva dall’unione di due termini, ovvero la parola inglese “to dispose” (gettare via) e quella greca “fobia” (paura).
Letteralmente, quindi, con questo termine si indica la vera e propria “paura di buttare via le cose“.
Se, invece, ti stai domandando come si chiamano le persone che tengono tutto, il termine esatto è “disposofobici”, vale a dire “una persona affetta da disposofobia”.
Un disturbo molto comune
Tutti noi, chi più chi meno, tendiamo a conservare oggetti che da un punto di vista esterno potrebbero sembrare di poco conto o con nessun significato.
Un vecchio biglietto del treno che ci ricorda i tempi dell’università, un quadro o un libro di valore, la coperta del tuo cagnolino e così via. Ciò non vuol dire, naturalmente, che tendiamo ad accumulare oggetti su oggetti in maniera incontrollata, né che manifestiamo i sintomi della disposofobia.
Chi presenta un disturbo da accumulo, tende ad attribuire un significato “speciale” a un numero davvero elevatissimo di oggetti. Sebbene questo possa sembrare uno splendido dono, quando la tendenza a dare valore a tutto sfugge di mano, il rischio è quello di riempire la casa di cose di ogni genere.
Il problema, peraltro, è molto più comune di quanto non sembri. Si stima che riguardi circa il circa il 2-3% delle persone. Solitamente, alla disposofobia si associano anche altri disturbi, come:
- Depressione
- Disturbo da deficit di attenzione e iperattività
- Disturbi di ansia.
Rischi e conseguenze a breve e a lungo termine
Di per sé, la disposofobia è una condizione che può interferire enormemente sulla qualità della vita di chi ne manifesta i sintomi, ma anche su quella di coloro che condividono la stessa casa. Anche costoro possono risentire molto della quantità di oggetti e disordine in casa.
Gli ambienti domestici, inondati di scatole, vecchi giornali e quant’altro, possono diventare inagibili. Il disordine può rendere difficile svolgere anche le attività più banali, come lavare i denti o studiare seduti alla scrivania.
Tutto ciò condizionerà l’equilibrio familiare in maniera profonda, causando grande sofferenza non solo in coloro che vivono con il paziente, ma nel paziente stesso, imbrigliato in un mix di emozioni e sensazioni che, a lungo andare, non possono che peggiorare.
L’allontanamento di amici e familiari è di fatti uno dei più comuni sintomi della disposofobia.
E, come evidenziato, questo autoisolamento non farà che alimentare a sua volta il problema. Spesso subentrano sensazioni come stress, vergogna, imbarazzo, paura di perdere i propri oggetti e di non avere più il controllo della situazione.
Disposofobia: test e diagnosi
On line è possibile trovare diversi test per la disposofobia, questionari validi che potrebbero aiutarti a capire se, effettivamente, soffri di un disturbo da accumulo. Per ottenere una vera e propria diagnosi, tuttavia, è sempre necessario rivolgersi a un terapista esperto di questa particolare condizione.
Tieni a mente che, data la complessità del disturbo, prima di prescrivere trattamenti, farmaci e decluttering estremi, è fondamentale individuare l’esatta situazione del paziente. Solo allora, sarà possibile stabilire il miglior approccio per trattare il disturbo in modo quanto più possibile risolutivo e soddisfacente.
E’ molto raro che le persone con disturbo da accumulo cerchino aiuto personalmente. Probabilmente, un disposofobico non si porrà domande del tipo “perché non riesco a buttare via niente?”, e qualora lo facesse, difficilmente potrebbe voler affrontare il problema.
In molti casi, a rivolgersi a uno psicologo o a uno psichiatra sono invece i parenti o gli amici della persona interessata, preoccupati per le condizioni in cui vive.
Disposofobia: come si cura?
Il disturbo da accumulo è senz’altro difficile da trattare. Nonostante ciò, negli ultimi anni sono stati compiuti molti passi in avanti nella comprensione delle possibili cause del disturbo e nell’individuazione dei migliori trattamenti da adottare.
Di primo acchito, parenti, amici o conoscenti potrebbero pensare che per risolvere questo problema sia sufficiente dare una bella pulita alla casa, eliminare il superfluo e ripartire da zero.
Questo approccio, però, gratta a stento la superficie di un disturbo ben più radicato e profondo.
Come la depressione o il disturbo d’ansia, la disposofobia fa parte delle malattie che, in quanto tali, necessitano di un adeguato approccio terapeutico.
Come si guarisce dalla disposofobia?
Fra le cure per la disposofobia, quella d’elezione è senz’altro la psicoterapia, e in modo particolare la terapia cognitivo-comportamentale (CBT), che mira a correggere le convinzioni del soggetto sull’accumulo, a ridurre la tendenza ad acquisire troppi oggetti e insegna al paziente ad eliminare ciò che non serve.
Lo psicologo potrebbe chiederti di coinvolgere i tuoi familiari nel trattamento. Un problema di disposofobia in figli adolescenti o in giovane età, ad esempio, potrebbe richiedere il coinvolgimento dei genitori.
Inoltre, per poter meglio affrontare il problema della disposofobia, potrebbero essere utili video, foto e immagini dei tuoi ambienti domestici e delle zone della casa in cui vi è la maggior parte del disordine, in modo da comprendere meglio le caratteristiche del problema e agire in maniera più specifica.
All’occorrenza, il medico potrebbe consigliare l’assunzione di farmaci per l’ansia o la depressione, qualora dovessi manifestare questi disturbi in concomitanza con quello da accumulo.
Solitamente si tratta di farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI).
Le cure per la disposofobia funzionano davvero?
I trattamenti impiegati fino ad oggi offrono risultati variabili da paziente a paziente. Non tutti i soggetti disposofobici riescono a guarire completamente da questa condizione. Molti pazienti che si sono sottoposti alla CBT, ad esempio, continuano a sperimentare un disturbo da accumulo, seppur spesso in forma più lieve.
Rispetto a quanto sperimentato da pazienti con ansia e depressione, la terapia cognitivo-comportamentale sembra quindi sortire effetti meno consistenti.
Ma per quale ragione? Si ritiene che una delle cause nella difficoltà di trattamento della disposofobia risieda nel fatto che, a differenza di chi soffre di depressione o panico, gli accumulatori non avvertono sofferenza, disagio o angoscia a causa del proprio problema.
È il confronto con i familiari (che cercano di aiutarli), o l’idea di dover gettare uno o più oggetti, che suscita malessere. L’accumulo in sé di oggetti e quant’altro, non è dunque fonte di sensazioni negative, cosa che invece accade nelle persone con depressione o ansia.
È lo stesso disturbo a causare un tale malessere da spingere la persona a ricercare aiuto medico.
Prospettive future
Al di là dei farmaci, nuove ricerche stanno cercando di far luce sui differenti risultati ottenuti con la terapia da alcuni pazienti rispetto che da altri. La speranza è che questi studi permettano di individuare trattamenti più specifici e mirati, cure per la disposofobia che siano in grado di aiutare tutti i pazienti, tenendo in considerazione le loro peculiari caratteristiche.
Fino ad allora, le evidenze suggeriscono che la terapia, affiancata da meditazione, tecniche di visualizzazione e di auto-aiuto, ed eventualmente dall’utilizzo di farmaci, possono aiutare il paziente a capire come liberarsi del superfluo, per dare il giusto spazio alla propria vita.
Fonti