Violenza sulle donne: la psicologia dello stalker e le conseguenze sulle vittime
Lo stalking è una delle forme di violenza psicologica più subdole, che può facilmente sfociare anche in molestie di tipo fisico
Si fa presto a dire violenza sulle donne. Spieghiamo. Si fa presto a definirla in modo superficiale, considerando come tale principalmente le forme di molestia di tipo fisico e soprattutto sessuale, spesso sottovalutando la pericolosità della violenza psicologica, in grado di logorare la mente delle vittime e rendere asfissiante la loro esistenza.
È per fare luce su uno degli scenari di violenza più striscianti che l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna ha voluto parlare di stalking. Perché di stalking sì, nel peggiore dei casi, si può anche soccombere. Nel migliore si riportano ferite emotive che è difficilissimo ricucire e far rimarginare. In ogni caso le cicatrici non spariscono mai.
Il 25 novembre è arrivato, la Giornata contro la violenza di genere vede iniziative sparse in tutto il mondo atte a far riflettere, discutere, tutelare e far sentire meno sole le vittime. Ma in realtà ogni giorno è quello giusto per parlare di questo problema, tristemente onnipresente nella pagine di cronaca dei giornali, eppure per anni sottovalutato. Come se molestare una donna, magari il proprio oggetto del desiderio, fosse da ritenersi un reato di poco conto.
Il limite fra amore e violenza, ce lo insegna la storia, è spesso labile, esattamente come è labile il confine fra corteggiare una donna e diventare il suo stalker, da potenziale principe azzurro a sicuro incubo peggiore. Troppe attenzioni, attenzioni sbagliate, morbose e insistenti non fanno sentire amate, fanno sentire in gabbia, fanno soffocare.
Ma chi è davvero lo stalker? Secondo la psicologia è un soggetto, quasi sempre di sesso maschile (anche se non sono infrequenti casi di stalking al femminile), mentalmente disturbato. Il persecutore, chiamiamolo con il suo nome, ha problemi a livello affettivo-relazionale, probabilmente derivati da un passato difficile.
Proprio questo passato pesante grava sul presente dello stalker, che agisce sulla sua vittima con un duplice obiettivo: quello di vendicarsi per relazioni che lo hanno abbrutito e fatto stare male, o anche recuperare e riconquistare un amore perduto. Non è un caso che molti stalker siano ex mariti o compagni che non hanno accettato la rottura della relazione.
Lo stalker dipende “affettivamente” dalla sua vittima, i suoi comportamenti sono atti a generare un contatto con lei, un qualunque tipo di contatto e una qualunque tipo di reazione. Ogni risposta che riceve, positiva o negativa, alimenta il suo insano rapporto a due.
È per questo che gli psicologi consigliano alle vittime di stalking di puntare sull’indifferenza, rompendo il circolo vizioso. Una risposta negativa, il rimandare indietro un regalo sgradito, reagire in modo aggressivo alle avances dello stalker non fanno altro che spingerlo a continuare. La sua dipendenza non si spezza infatti con il rifiuto, ma con la netta interruzione dei contatti.
Dice a tal proposito la dottoressa Anna Ancona, Presidente dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna:
[quote layout=”big” cite=”Dott. Anna Ancona]Bisogna sempre resistere alla tentazione di convincere il proprio persecutore a fermarsi. Soprattutto se si tratta di una persona che ha bisogno di cure, le risposte possono essere interpretate come un preciso interesse e rinforzare il suo agire: divengono segnali di attenzione. Anche la restituzione di un regalo, una risposta negativa a una telefonata o a una lettera vanno evitati. I contatti dovrebbero essere interrotti immediatamente dalla vittima, perché altrimenti potrebbero alimentare il comportamento persecutorio, favorendone un crescendo devastante[/quote]
La psicologia ci mette anche in guardia sulle conseguenze dello stalking, che da violenza psicologica si può tramutare in fisica. Molti dei casi di femminicidio commessi negli ultimi anni sono stati originati da stalker che sono passati all’azione, arrivando ad uccidere.
Anche quando questo non avviene, anche quando la fisicità della vittima rimane intatta, i lasciti psicologici su di essa sono però laceranti. La violenza emotiva, la violazione della propria sfera privata, generano insicurezza, desiderio di alienarsi dal mondo esterno per paura.
È molto facile che la vittima di stalking abbia difficoltà anche ad avere un rapporto affettivo, memore dell’esperienza soffocante già vissuta. Le ferite dell’anima, così come quelle del fisico, hanno bisogno di tempo per guarire, ma spesso anche di un supporto esterno da parte di professionisti. Oltre che ovviamente di amore, affetto e assenza di giudizio da parte delle persone vicine.
La violenza da stalking è un virus strisciante che lascia sottopelle nelle vittime un senso di insicurezza e vuoto. Lascia una costante paura di fondo, quella di poter ricadere in una situazione simile e quella di essere giudicate male da chi pensa che “devi aver fatto per forza qualcosa per esserti cacciata in questa condizione”.
La guarigione è un processo lento, doloroso e dall’esito incerto. Ma sicuramente avere la libertà di parlarne, trovare sostegno intorno a sé, è una pillola potentissima per tornare a respirare.
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