Addio a Dulbecco, vinse il Nobel per la medicina per la scoperta dei virus oncogeni
Si è spento Renato Dulbecco, il genetista che ha rivoluzionato la lotta al cancro, scoprendo i virus oncogeni.
Renato Dulbecco, genetista premio Nobel per la medicina nel 1975 insieme a David Baltimore e Howard Temin, si è spento oggi a La Jolla all’età di 98 anni, colpito da un infarto. Ne ha dato notizia nelle scorse ore il presidente del CNR, Luigi Nicolais. Quella di Dulbecco è stata una vita consacrata alla ricerca. Nato a Catanzaro il 22 febbraio del 1914, le sue scoperte hanno segnato la lotta ai tumori.
La scoperta che gli valse il Nobel, nello specifico, identificò la causa di alcune forme di cancro in un difetto del DNA, un errore di scrittura. Grazie a lui oggi sappiamo come colpire il cancro, agendo sui virus oncogeni, killer che agiscono dall’interno, capaci di alterare il funzionamento delle cellule sane, trasformandole in cellule cancerogene. Dulbecco scoprì che il corredo genetico del virus veniva trasferito nella cellula tramite l’enzima trascrittasi inversa.
Identificare le mutazioni genetiche che permettono al tumore di resistere ai farmaci è fondamentale per mettere a punto terapie mirate e più efficaci per debellare il cancro e Dulbecco ha aperto la strada a quelle che sono le moderne terapie anticancro, svelando questi meccanismi.
Dulbecco ha diviso la sua vita tra l‘Istituto di Tecnologie Biomediche del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Milano e l‘Istituto Salk, a La Jolla, in California, dove viveva. Un cervello fuggito all’estero il suo, che però aveva mantenuto saldi i legami con l’Italia. Tanto che nel 1999 condusse insieme a Fazio il Festival di Sanremo, devolvendo il compenso proprio alle giovani promesse della ricerca e della scienza emigrate all’estero, affinché potessero rientrare in Italia.
Lui stesso fu costretto ad interrompere per mancanza di fondi il suo ritorno definitivo alla ricerca in Italia. Nel 1987 diventò coordinatore per l’Italia del Progetto internazionale Genoma Umano, fino al 1995, quando vennero a mancare i fondi per proseguire e tornò in America. Secondo Paolo Vezzoni, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche che collaborò al progetto insieme a lui, era amareggiato e deluso dall’esperienza fatta in Italia.
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