Psicologia del pianto
Piangere ci fa sentire meglio. Molti benefici del pianto sono spiegabili guardando agli effetti fisici del pianto, mentre le variabili sociali e psicologiche che lo influenzano sono più difficili da indagare
Piangere ci fa sentire meglio.
Lo affermano chiaramente i ricercatori della University of Florida che, analizzando circa 3.000 esperienze di pianto hanno scoperto che la maggior parte degli intervistati riportava un senso di miglioramento nello stato d’animo dopo lo sfogo, in particolare se avevano avuto un sostegno sociale.
In effetti si dice, piangi che ti passa. Ma perché?
Una prima risposta potremmo trovarla guardando ai benefici fisici del pianto, tra l’altro gli unici riproducibili in laboratorio. Se da una parte gli attacchi di pianto producono effetti calmanti come la respirazione più lenta, dall’altra generano stress ed eccitazione spiacevole come l’aumento della frequenza cardiaca e sudorazione. Ora, ciò che conta è che l’effetto calmante di solito dura più a lungo dell’eccitazione sgradevole. Inoltre gli effetti calmanti si verificano dopo la reazione di stress, il che spiegherebbe perché le persone tendono a ricordare soprattutto il lato piacevole del pianto.
In realtà non è ancora disponibile un quadro preciso di studi che illustri i benefici del pianto poiché queste manifestazioni dipendono da troppi fattori come il perché si piange, dove e come si verifica e chi, ovvero qual’è lo stato di salute di chi versa le lacrime.
Piangere è anche condizionato da tanti stereotipi. Un recente studio ha per esempio analizzato questa manifestazione tra i giocatori di football.
Partendo dall’esperienza di Tim Tibow, giocatore statunitense screditato dai media per aver pianto in disparte alla fine di una partita persa, lo studio ha evidenziato che i giocatori per i quali va bene piangere dopo aver perso una partita hanno più alta stima di se stessi rispetto a quanti ne rifiutano l’idea.
Via | Science Daily