Aborto e legge 40, la storia di Valentina: la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi sulla diagnosi preimpianto
Il racconto della disavventura capitata ad una giovane donna nel 2010 all'Ospedale Sandro Pertini di Roma alimenta le polemiche sull'interruzione di gravidanza e la discussione sulla fecondazione eterologa per soggetti a rischio.
Mentre il Consiglio D’Europa boccia l’Italia sulla disciplina del diritto all’aborto, risultato non garantito nella maggioranza delle strutture ospedaliere del territorio, una storia avvenuta qualche anno fa riporta l’attenzione non solo sulla necessità di garantire l’interruzione di gravidanza ma anche sulla tanto discussa legge 40 sulla fecondazione eterologa.
Il racconto è stato portato all’attenzione di tutti dall’Associazione Luca Coscioni: la coppia di Valentina e Fabrizio Magnanti, desiderosa di avere dei figli, si sottopone ad alcune analisi dopo una prima gravidanza andata male perché extrauterina. Il secondo tentativo è migliore ma da una villocentesi risulta il futuro nascituro è malato gravemente: la madre è portatrice eterozigote di una traslocazione reciproca bilanciata tra il braccio corto di un cromosoma 3 ed il braccio lungo di un cromosoma 5, una malattia genetica trasmissibile e molto grave. La coppia decide di interrompere la gravidanza al quinto mese, entro i limiti disposti dalla Legge 194.
Il giorno 25 ottobre 2010, mi comunicano telefonicamente che la bambina che aspettavo era affetta da una grave malattia. Decisi in accordo con mio marito di interrompere la gravidanza. Ci recammo lo stesso giorno dal ginecologo che mi seguiva, il quale però si rifiutò di farmi ricoverare perché obiettore di coscienza. Riesco, dopo vari tentativi, ad avere da una ginecologa del Sandro Pertini il foglio di ricovero, dopo due giorni però, poiché soltanto lei non era obiettore. Il 27 ottobre entro in ospedale e inizio la terapia per indurre il parto. Dopo 15 ore di dolori lancinanti, vomito e svenimenti, partorisco dentro il bagno dell’ ospedale con il solo aiuto di mio marito. Nessuno ci ha assistito nemmeno dopo aver chiesto soccorso più e più volte. Non li abbiamo denunciati purtroppo soltanto perché eravamo sconvolti da quello che avevamo vissuto. Nessuna donna al mondo dovrebbe provare quello che ho provato io e che purtroppo ancora tantissime donne provano…
Il racconto di Valentina è sicuramente agghiacciante e pone di nuovo al centro di tutto l’applicazione della 194 e la scelta dell’obiezione di coscienza in merito alle interruzioni di gravidanza; ma la storia non finisce qui, perché la coppia si trova ad affrontare un altro scoglio notevole per chi vuole avere un figlio in Italia, ovvero la legge 40 sulla fecondazione eterologa, altro punto della questione sul diritto alla salute nel nostro Paese.
Visto che avere figli per loro è difficile, la coppia si rivolge al Centro per la Salute della Donna S. Anna di Roma, richiedendo la fecondazione assistita con diagnosi preimpianto come disciplinato dalla Legge 40. Il responsabile del centro, Antonio Colicchia, dichiara che la struttura non può erogare la prestazione di diagnostica genetica preimpianto.
Di fronte all’ennesimo rifiuto la coppia si rivolge all’avvocato Filomena Gallo, Segretario
dell’Associazione Luca Coscioni, per avviare un procedimento legale contro la struttura ospedaliera che nel Registro Nazionale di Procreazione Medicalmente Assistita risulta essere autorizzato ad applicare ed eseguire la fecondazione in vitro, con previa analisi dello stato genetico del feto per rilevare eventuali anomalie.
Il Tribunale di Roma, chiamato a rispondere, ha sollevato il dubbio di legittimità costituzionale per questa storia, ricollegandosi ad altri casi analoghi come quello di Rosetta Costa e Walter Pavan, di pochi mesi fa, che avevano visto riconosciuta la possibilità di diagnosi preimpianto “bypassando” le norme italiane a favore di quelle europee con una sentenza del giudice Galterio.
Spetterà dunque alla Corte Costituzionale pronunciarsi sulla possibilità della diagnosi preimpianto in questa vicenda sconvolgente, sciogliendo il dubbio di costituzionalità sui limiti posti dalla legge 40 come violazione dei diritti della Costituzione Italiana.