Acidi biliari in gravidanza: i valori di riferimento
Gli acidi biliari sono prodotti dal fegato per il metabolismo dei grassi. Vediamo quali sono i loro valori di riferimento in gravidanza
Gli acidi biliari sono delle sostanze prodotte in parte dal fegato (acidi biliari primari) e in parte dall’intestino (acidi biliari secondari), a partire dalla demolizione delle molecole di colesterolo. Tali sostanze confluiscono nella cistifellea (piccolo organo a forma di sacchetto posto tra fegato, pancreas e duodeno) sotto forma di bile, dove diventano sali, si uniscono ad alcuni aminoacidi diventando “coniugati”, e concorrono al metabolismo dei lipidi alimentari.
Una parte di questi acidi biliari primari e coniugati viene poi riconvertita, a livello intestinale, in acidi biliari secondari che a loro volta si occupano di completare il processo di assimilazione di grassi scindendoli in singoli composti che possano confluire nel sangue.
In condizioni normali, di perfetta funzionalità epatica e biliare,gli acidi biliari finiscono poi per essere riassorbiti dal fegato oppure per essere eliminati attraverso le feci. In particolari casi, però, ad esempio quando il fegato sia ammalato (perché affetto da epatite, tumori o cirrosi), oppure, caso molto comune, quando vi sia un calcolo biliare che ostruisca uno dei dotti della cistifellea impedendo il flusso della bile, la concentrazione degli acidi aumenta e provoca una serie di sintomi.
Tra questi un prurito diffuso (che insorge soprattutto nelle ore serali e notturne), a cui, successivamente, può associarsi l’ittero. In gravidanza è normale che i valori degli acidi e dei sali biliari aumenti un po’ perché anche i livelli di colesterolo totale aumentano.
Tale fenomeno è del tutto fisiologico ed è determinato dall’azione degli ormoni estrogeni, pertanto se i valori degli acidi biliari superano di poco la norma – ovvero 1,23 mol/l a digiuno, 5,14 mol/l 2 ore dopo i pasti – e in assenza di problemi epatici e di sintomi, non c’è da preoccuparsi.
Diverso, però, il caso in cui il livello di queste sostanze aumenti eccessivamente, perché in questo caso all’origine potrebbe esserci una condizione patologica nota come colestasi gravidica, provocata proprio da una stasi di acidi biliari nel fegato.
La colestasi insorge soprattutto nel secondo e terzo trimestre, ha una forte componente genetica, e se trascurata può determinare dei danni al bambino aumentando il rischio di morte intrauterina. Una volta diagnosticata attraverso i test ematici, la colestasi gravidica si tiene facilmente sotto controllo tramite la somministrazione di un farmaco, l’acido ursodesossicolico, che riduce i sintomi e protegge il bambino.
Tuttavia, nelle donne in attesa con questa disfunzione si preferisce non procrastinare il parto oltre le 37 settimane di gestazione. In caso di livelli poco oltre la norma basta effettuare un continuo monitoraggio che includa il test con il dosaggio degli acidi biliari una volta a settimana.
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Foto| via Pinterest