Alzheimer, ecco come nasce la malattia
Un gruppo di ricercatori italiani ha scoperto dove si formano gli aggregati proteici che uccidono i neuroni di chi soffre di questa patologia
Per la prima volta da quando l’uomo ha iniziato ad interessarsi allo studio dei meccanismi che portano allo sviluppo della malattia di Alzheimer un gruppo di ricercatori ha scoperto qual è il punto preciso delle cellule in cui si formano gli aggregati proteici la cui presenza è una delle caratteristiche fondamentali della patologia: il reticolo endoplasmatico.
La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Communications, è frutto del lavoro di un team guidato da Antonino Cattaneo, direttore del Laboratorio dei Fattori Neurotrofici e delle Malattie Neurodegenerative dell’Istituto Europeo per la Ricerca sul Cervello (EBRI) e del Laboratorio di Biologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, e di Giovanni Meli, ricercatore dell’EBRI, ed è stato condotto in collaborazione con Roberta Ghidoni, esperta a capo dell’Unità di Proteomica dell’IRCCS “San Giovanni di Dio” Fatebenefratelli di Brescia.
Gli aggregati in questione sono quelli di peptide beta amiloide e non sono altro che il materiale tossico per i neuroni che contribuisce allo sviluppo iniziale dell’Alzheimer. Nonostante il loro coinvolgimento nella comparsa della malattia sia ormai accertato da tempo, le informazioni sulla loro formazione e su come si spostino all’interno della cellula erano fino ad oggi poche. A ostacolare la comprensione di questi dettagli era principalmente la mancanza di metodi di studi abbastanza specifici.
Gli autori di questo studio sono però riusciti a utilizzare un nuovo approccio per analizzare il destino di questi aggregati nelle cellule viventi, dimostrando che si formano in uno specifico organello cellulare, il reticolo endoplasmatico, grazie ad una tecnica basata sull’uso di anticorpi ottenuti con la tecnologia del DNA ricombinante ideata dallo stesso Cattaneo negli anni ’90. Ma c’è di più. L’uso di questi anticorpi permette infatti di interferire con gli aggregati e potrebbe rappresentare un nuovo approccio terapeutico da utilizzare nella lotta contro l’Alzheimer.
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Via | EBRI