Alzheimer, la memoria si recupera con gli ultrasuoni
A lasciarlo sperare sono esperimenti condotti sui topi che aprono la strada a futuri studi clinici
Far tornare la memoria a chi soffre di Alzheimer utilizzando gli ultrasuoni: è questa la proposta dei ricercatori dell’Università del Queensland di Brisbane, in Australia, che in uno studio pubblicato su Science Translational Medicine hanno dimostrato l’efficacia di questo approccio in topi affetti dalla malattia e che ora intendono passare a studi su altri animali prima di testarlo infine sui pazienti.
Prima di arrivare agli studi clinici saranno necessari almeno 2 anni. Nel frattempo la speranza che questo nuovo tipo di trattamento, che non richiede l’assunzione di farmaci, non è invasivo ed è anche relativamente economico, è mantenuta accesa dagli ottimi risultati ottenuti con il modello murino.
Questo trattamento ha riportato le funzioni della memoria allo stesso livello dei topi sani
racconta Jürgen Götz, direttore del Clem Jones Centre for Ageing Dementia Research e autore dello studio insieme al suo collaboratore Gerhard Leinenga.
L’effetto del trattamento si basa sulla possibilità di fare letteralmente a pezzi le placche amiloidi tossiche per i neuroni che si accumulano nel cervello in caso di Alzheimer, compromettendo la memoria e promuovendo il declino cognitivo. Questa disgregazione è permessa dall’estrema velocità di oscillazione degli ultrasuoni, che attiva alcune cellule presenti nel cervello. Queste ultime (le cellule della microglia) digeriscono e rimuovono le placche amiloidi responsabili della distruzione delle sinapsi cerebrali e aprono temporaneamente la barriera tra sangue e cervello. Questo fenomeno attiva dei meccanismi che spazzano via gli aggregati tossici, ripristinando le funzioni mnemoniche.
Con il nostro approccio l’apertura della barriera ematoencefalica è solo temporanea per poche ore
precisa Götz, assicurando quindi che la sua naturale funzione protettiva viene ripristinata velocemente.
Siamo estremamente eccitati da quest’innovazione che permette di trattare l’Alzheimer senza utilizzare soluzioni farmacologiche
commenta il ricercatore, aggiungendo che i lavori stanno proseguendo anche per verificare se questo metodo può essere utilizzato anche per eliminare gli aggregati proteici tossici che si accumulano in altre malattie neurodegenerative in modo da ripristinare funzioni danneggiate diverse dalla memoria, ad esempio quelle motorie.
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Via | UQ News