
NEW DELHI, INDIA - APRIL 07: A laboratory technician from Dr. Dangs Lab holds a coronavirus testing tube at a drive-through testing service at the Punjabi Bagh center of Dr. Dangs Lab, as India remains under an unprecedented lockdown over the highly contagious coronavirus (COVID-19) on April 07, 2020 in New Delhi, India. Dr. Dangs Lab, one of the private labs in the country allowed to test for coronavirus, is the country's first drive-through COVID-19 testing centre. As India remains under an unprecedented lockdown the number of Covid-19 cases has crossed the 4000 mark with 136 deaths and the provincial governments have identified over 30 hotspots. Most reports say as the 21-day lockdown ends on April 14, the Narendra Modi government will keep these hotspots under stringent restrictions and ramp up the testing. India ranks extremely low in the coronavirus-hit countries list based on the number of tests done per million population. India has reported less than 4,300 infected cases and 130,000 tests so far. This means India has carried out 93 tests per million population and reported only three cases per million population. (Photo by Yawar Nazir/Getty Images)
Sulla rivista scientifica “Pnas” è stato pubblicato uno studio portato avanti dai ricercatori dell’Università di Cambridge, nel Regno Unico, in collaborazione con dei colleghi tedeschi, che ricostruisce i primi passi dell’epidemia da coronavirus Covid-19.
Secondo questa ricerca, il paziente zero, ossia il primo caso umano di coronavirus Sars-CoV-2, si è infettato tra la metà di settembre e l’inizio di dicembre 2019. Ci sono state poi rapide mutazioni che impediscono agli studiosi di ricostruire un albero genealogico ordinato di questo particolare tipo di virus.
I ricercatori, per ricostruire i primi percorsi evolutivi del Covid-19, hanno usato tecniche che solitamente servono per “mappare i movimenti delle popolazioni umane preistoriche attraverso il Dna”. Sono stati così analizzati i primi 160 genomi virali completi sequenziali di pazienti Covid nel mondo dal 24 dicembre 2019 al 4 marzo 2020. Questo numero, però, è già salito a ben 1.001 genomi.
Gli scienziati hanno allora usato un algoritmo matematico per visualizzare tutti i possibili alberi genealogici, scoprendo così una rete virale che è come una sorta di istantanea delle fasi iniziali di un’epidemia prima che i suoi percorsi venissero oscurati da troppe mutazioni.
In particolare sono state individuate tre varianti:
– la variante A è la radice dell’epidemia, la più strettamente correlata al virus trovato nei pipistrelli e nei pangolini. Era presente a Wuhan, ma non era quella predominante, mentre è stata individuata in cittadini americani che avevano vissuto a Wuhan e in molti pazienti statunitensi e australiani;
– la variante B deriva dalla A, ma si distingue per due mutazioni; è la più presente a Wuhan ed è prevalente nei malati di tutta l’Asia orientale, poco presente, invece, altrove. Secondo gli autori è come se ci fosse una sorta di “resistenza” contro questo tipo di virus nelle altre aree del pianeta;
– la variante C è figlia della B ed è quella più diffusa in Europa, trovata nei primi pazienti di Francia, Italia, Svezia e Inghilterra. Sembra assente in Cina, ma è stata trovata a Singapore, Hong Kong e Corea del Sud.
Secondo gli scienziati è possibile che la variante B di Wuhan si sia adattata a una gran parte della popolazione dell’Asia orientale e che il virus abbia avuto bisogno di mutare per attecchire nelle altre zone del mondo, da qui la variante C.