Tra gli effetti indiretti e le conseguenze del Covid vi è anche la paura di parlare in pubblico, nota con il nome di “glossofobia”. Sappiamo bene che la pandemia che stiamo attraversando ha cambiato profondamente le nostre vite e le nostre abitudini. Nella maggior parte dei casi, le nostre interazioni avvengono attraverso uno smartphone o attraverso un computer. È dal mese di Marzo che i nostri contatti sociali si sono notevolmente ridotti.
A causa dei lockdown, per via dei limiti imposti nelle zone rosse e arancioni e – soprattutto – a causa della paura del contagio, le interazioni faccia a faccia sono diminuite per tutti noi, o quasi. Da tutto ciò, ne è scaturita una sempre crescente paura di parlare in pubblico, che sta coinvolgendo e colpendo persone di tutte le età.
A parlare di questo argomento è stato Massimiliano Cavallo, esperto di Public Speaking, il quale spiega che, prima della pandemia, questo problema interessava una persona su quattro.
Con l’arrivo delle restrizioni, del distanziamento e del timore di un eventuale contagio, ne soffriranno però molte più persone. Ciò rappresenterà un problema non di poco conto, soprattutto per chi lavora con il pubblico o deve reinventarsi per trovare un nuovo lavoro:
Il generale isolamento imposto dalla pandemia, le scarse interazioni fisiche, la paura del contagio hanno favorito nuove forme di comunicazione mediate dalla tecnologia: dalla didattica a distanza ai webinar fino alle riunioni su Teams e Zoom, e le immancabili chat su Whastapp e Messenger,
spiega Cavallo, aggiungendo che oggi più che mai abbiamo preso l’abitudine di comunicare senza guardare davvero il nostro interlocutore negli occhi:
Non ci si potrà nascondere dietro la webcam del pc per sempre. E quando l’emergenza sarà finita, il ritorno alla normalità porterà a valorizzare ancora più di prima il contatto umano, il valore delle relazioni. Per questo si incrementeranno gli eventi dal vivo, aumenterà l’esigenza di guardarsi negli occhi, di ascoltare relatori competenti e capaci a trasmettere emozioni.
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