Creato il primo organismo vivente con DNA sintetico, è un batterio
Si tratta di un Escherichia coli che riesce a duplicare un DNA artificiale contenente componenti non esistenti in natura. Ma a cosa può servire?
Proteine formate da amminoacidi sintetici da usare in ambito diagnostico e terapeutico, nanomateriali futuristici e altre applicazioni fino ad oggi letteralmente impensabili: è questo le scenario su cui ha spalancato le finestre uno studio dello Scripps Research Institute di La Jolla, in California, pubblicato sull’edizione online del 7 maggio della prestigiosa rivista Nature. Frutto del lavoro di un team di ricercatori guidato da Floyd Romesberg, la ricerca ha permesso di creare il primo organismo vivente in grado di replicare (e quindi di trasmettere alla sua progenie) mattoncini di DNA non esistenti in natura, ma aggiunti dall’uomo allo scopo di espandere l’alfabeto genetico.
“La vita sulla terra in tutta la sua diversità è codificata solo da due paia di basi di DNA, A-T e C-G – spiega Romesberg – Quello che abbiamo generato è un organismo che contiene stabilmente queste due più un terzo, innaturale, paio di basi”. Per raggiungere questo obiettivo sono stati necessari molti anni. Romesberg e collaboratori hanno iniziato a lavorarci alla fine degli anni ’90, ma trovare due basi in grado di appaiarsi con un’affinità comparabile a quella delle coppie naturali A-T e C-G, di inserirsi stabilmente nel doppio filamento di DNA, di separarsi e riappaiarsi “a comando” quando necessario e non essere riconosciute come estranee dai meccanismi di riparazione naturale del DNA non è stato semplice. I primi risultati sono arrivati nel 2008, ma tutti gli obiettivi raggiunti da allora sono stati trattenuti all’interno di una provetta da laboratorio. “La grande sfida – spiega Denis Malyshev, membro del team guidato da Romesberg e primo nome del nuovo studio pubblicato su Nature – è stata renderli funzionanti nell’ambiente molto più complesso di una cellula vivente”.
Gli ultimi esperimenti condotti al La Jolla hanno previsto di sintetizzare un filamento di DNA circolare (quello che in gergo tecnico si chiama plasmide) e di inserirlo in Escherichia coli, uno dei batteri più utilizzati nei laboratori di tutto il mondo. Oltre alle paia di basi A-T e C-G questo plasmide contiene anche le due migliori basi ottenute da Romesberg e collaboratori nel corso degli anni, d5SICS e dNaM. L’obiettivo finale, vale a dire far sì che Escherichia coli riuscisse a replicare questo DNA nel modo più naturale possibile per poterlo eventualmente trasmettere alle cellule figlie derivanti dalla sua riproduzione, è stato raggiunto fornendo al batterio le due basi artificiali e una molecola (naturalmente presente in un altro organismo, una microalga) in grado di trasportare queste basi all’interno delle cellule.
Mettendo a disposizione del batterio questi strumenti è stato possibile dimostrare che il plasmide semisintetico può essere replicato da una cellula vivente ad una velocità ragionevole e in modo piuttosto accurato senza comprometterne la crescita e senza che le due basi sintetiche vengano eliminate dai meccanismi naturali di riparazione del DNA.
Qualcuno potrebbe sentirsi minacciato dalla possibilità che questo tipo di studi scientifici possa portare alla diffusione incontrollata di nuove forme di vita. Tuttavia, i ricercatori forniscono rassicurazioni a tal proposito, spiegando che il fatto che le due basi non siano naturalmente disponibili nell’ambiente e che gli esperimenti condotti abbiano dimostrato che possono essere introdotte nelle cellule solo attivando la molecola trasportatrice, senza la cui attività queste due basi sparirebbero letteralmente dal materiale genetico presente nel batterio, elimina ogni preoccupazione a tal proposito.
I risultati ottenuti, spiega Romesberg, dimostrano che esistono altre modalità per codificare l’informazione genetica e che “ci portano più vicini a una biologia del DNA espansa che avrà molte eccitanti applicazioni – dalle nuove medicine a nuovi tipi di nanotecnologie”. Il prossimo passo darà dimostrare che le cellule viventi possono utilizzare questo DNA semisintetico per produrre l’RNA da cui ottenere, infine, delle proteine.
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Via | EurekAlert!