
La demenza frontotemporale, una malattia neurodegenerativa che ha recentemente colpito l’attore Bruce Willis, rappresenta una condizione ancora poco compresa, interessando circa 50.000 persone in Italia. I pazienti affetti da questa patologia vedono un progressivo deterioramento delle loro capacità cognitive, del linguaggio e del comportamento, creando notevoli difficoltà nella vita quotidiana, sia per loro che per i loro familiari.
Una nuova ricerca condotta dalla Fondazione Santa Lucia Irccs di Roma offre una luce di speranza. Questo studio ha rivelato che un trattamento basato su un composto in grado di influenzare il sistema endocannabinoide e la neuroinfiammazione potrebbe aiutare a rallentare l’avanzamento della malattia.
Caratteristiche della demenza frontotemporale
La demenza frontotemporale si distingue dall’Alzheimer per l’età dei pazienti colpiti, prevalentemente tra i 45 e i 65 anni. I primi segnali non riguardano la memoria, bensì manifestazioni comportamentali e comunicative. I soggetti affetti possono manifestare apatia, aggressività o una perdita di controllo emotivo. Per i familiari e i caregiver, prendersi cura di un paziente con questa malattia rappresenta una sfida significativa, spesso affrontata senza supporto adeguato e senza terapie specifiche.
Il nuovo studio della Fondazione Santa Lucia
Lo studio, pubblicato sulla rivista Brain Communications, è stato diretto da Giacomo Koch, vice-direttore scientifico della Fondazione Santa Lucia e docente di Fisiologia all’Università di Ferrara. La ricerca ha coinvolto 50 pazienti e ha esaminato gli effetti della molecola co-ultraPEAlut. Dopo sei mesi di trattamento, i risultati sono stati incoraggianti: i partecipanti che hanno ricevuto il trattamento hanno mostrato un rallentamento nella progressione della malattia, mantenendo una maggiore autonomia nelle attività quotidiane e migliorando le loro capacità linguistiche rispetto a coloro che hanno assunto un placebo. Recenti studi hanno dimostrato che la neuroinfiammazione gioca un ruolo cruciale nell’evoluzione della demenza frontotemporale, contribuendo alla degenerazione delle cellule nervose e aggravando i sintomi. Pertanto, ridurre l’infiammazione potrebbe diventare una strategia fondamentale per rallentare la malattia e migliorare la qualità della vita dei pazienti.
Co-ultraPEAlut: una nuova speranza
Negli ultimi anni, la molecola co-ultraPEAlut, una combinazione della Palmitoiletanolamide (PEA) con l’antiossidante flavonoide luteolina, è emersa come un potenziale trattamento per i disturbi neurodegenerativi associati alla demenza frontotemporale. Questa formulazione, grazie alla sua azione sul sistema endocannabinoide, possiede proprietà antinfiammatorie e neuroprotettive, che potrebbero contrastare la progressione della malattia. Un precedente studio pilota del 2020 aveva già mostrato benefici sulla funzione cognitiva nei pazienti trattati con co-ultraPEAlut per un mese. Il nuovo studio clinico ha confermato che un trattamento di 24 settimane può rallentare il deterioramento cognitivo e funzionale, migliorando anche l’autonomia nelle attività quotidiane.
Implicazioni e futuri sviluppi
“I risultati indicano che il trattamento con co-ultraPEAlut ha rallentato il peggioramento dei sintomi nei pazienti con demenza frontotemporale”, ha dichiarato Koch. “Chi ha seguito la terapia ha mantenuto più a lungo la capacità di svolgere attività quotidiane e ha mostrato un minore deterioramento del linguaggio”. Silvana Morson, presidente dell’Associazione Italiana Malattia Frontotemporale (Aimft), ha sottolineato l’importanza di tali risultati, evidenziando come ogni progresso nella ricerca rappresenti una speranza per le famiglie colpite.
Koch ha aggiunto che, sebbene i risultati siano promettenti, sono necessari ulteriori studi per confermare l’efficacia del trattamento e per renderlo accessibile su larga scala. La demenza frontotemporale colpisce attualmente circa 50.000 persone in Italia e oltre 350.000 a livello globale, rappresentando la prima causa di demenza nei soggetti al di sotto dei 65 anni. Ad oggi, non esistono cure efficaci, ma solo terapie per gestire i sintomi. I primi segnali della malattia si manifestano attraverso cambiamenti comportamentali e difficoltà nel linguaggio, e la sua notorietà è aumentata in seguito alla diagnosi di Bruce Willis.