L’epatite autoimmune è un’infiammazione del fegato che si verifica, così come avviene in tutte le malattie autoimmuni, quando il sistema immunitario attacca i tessuti e gli organi sani riconoscendoli come una minaccia.
I sintomi dell’epatite autoimmune possono variare da soggetto a soggetto, mentre le cause della malattia, che colpisce prevalentemente il sesso femminile e, in una sua forma, anche i bambini, sono ad oggi incerte.
Se diagnosticata e trattata precocemente, tuttavia, può essere controllata tramite l’assunzione di determinati farmaci. Si può guarire dall’epatite autoimmune? E quali sono le aspettative di vita? Facciamo chiarezza.
L’epatite autoimmune è una condizione epatica cronica. Si verifica perché il proprio sistema immunitario attacca le cellule del corpo.
È una malattia piuttosto rara: si stima che in Europa ne soffrano circa 15 persone su 100.000. Può colpire entrambi i sessi, ma è decisamente più comune in quello femminile e, nonostante possa insorgere a qualsiasi età, è più frequente dopo i 40-45 anni. Vi è un’incidenza maggiore in coloro che già soffrono di un’altra condizione autoimmune.
Due sono le forme di tale malattia, che vengono individuate sulla base del tipo di anticorpi prodotti dall’organismo di chi è affetto da epatite autoimmune:
Vi è un ulteriore tipo, il 3, al quale sono associati altri tipi di anticorpi (anti SLA/LP).
Come si trasmette l’epatite autoimmune? Trattandosi di una patologia che fa parte delle malattie autoimmuni, le cause sono incerte. I ricercatori stanno ancora studiando i fattori scatenanti ambientali che svolgono un ruolo nello sviluppo della condizione.
Gli esperti ritengono che possano riscontrarsi nelle seguenti:
Quello che è certo è il modo in cui si manifesta che, come abbiamo anticipato, avviene attraverso l’attacco del fegato da parte del sistema immunitario.
Volendoli riassumere, i fattori che possono aumentare il rischio di epatite autoimmune includono:
Questi i maggiori fattori legati all’insorgenza della malattia.
In quanto ai sintomi, l’epatite autoimmune si manifesta inizialmente in maniera poco evidente. Nella sua fase iniziale può accadere di non accorgersi di averla (tanto che molti si accorgono di soffrirne solo dopo aver effettuato delle analisi del sangue). Successivamente, i campanelli di allarme sono:
Con l’avanzare della malattia, si può assistere a manifestazioni più gravi quali infezioni batteriche, cirrosi epatica, cancro del fegato o del colon.
Le complicazioni, invece, comprendono:
Queste le complicazioni più gravi che possono derivare da un peggioramento della patologia.
All’insorgere dei sintomi, essendo questi aspecifici (ovvero potenzialmente riconducibili a numerose cause), il medico potrebbe non attribuirli immediatamente alla malattia. Una diagnosi effettiva può essere fatta sulla base della valutazione della storia medica, dell’esame fisico, di esami del sangue, di test di imaging e biopsia epatica del soggetto.
Una volta diagnosticata l’epatite autoimmune, il trattamento è quasi sempre necessario e consiste nel rendere meno attivo il sistema immunitario attraverso una combinazione di farmaci. Si inizia cercando di bloccare l’infiammazione del fegato sopprimendo il sistema immunitario (procedura che può comunque indebolirlo rendendolo meno efficace nel combattere le infezioni). La cura dell’epatite autoimmune è a lungo termine, dura da un minimo di due anni fino a tutta la vita.
Il trattamento iniziale include solitamente il prednisone insieme o meno all’azatioprina. Il primo – non esente da effetti collaterali – viene generalmente prescritto in alte dosi per i primi 30 giorni salvo poi diminuirle. L’azatioprina serve invece a combattere gli effetti collaterali del prednisone. La maggior parte dei pazienti risponde in modo ottimale a tali farmaci.
Alcune persone, invece, possono avere una risposta incompleta al trattamento. Ciò significa che le cure non portano alla remissione della malattia e potrebbe essere necessario assumere altri farmaci per prevenire ulteriori danni al fegato.
Può accadere che, nonostante la cura, i sintomi della malattia non migliorino. Allora può richiedersi un trapianto di fegato, specie nel caso in cui si sviluppino cicatrici irreversibili (cirrosi) o insufficienza epatica. Il trapianto può avvenire da parte di un donatore deceduto o in vita.
Durante un trapianto di fegato da donatore vivente, si riceve solo una porzione di fegato sano. Successivamente all’operazione, entrambi gli organi iniziano a rigenerarsi tramite la formazione di nuove cellule praticamente fin da subito.
Appurato perché viene l’epatite autoimmune, viene da sé che non ci sia molto da fare in tema di prevenzione.
La malattia non può essere prevista, per cui l’unica cosa che possiamo fare è quella di seguire uno stile di vita sano, un’alimentazione equilibrata e che soddisfi l’assunzione dei nutrienti necessari per rimanere in salute unitamente alla regolare attività fisica.
Non esiste una specifica dieta per l’epatite autoimmune. Tuttavia, specie se la malattia porta alla cirrosi, si consiglia di consumare cereali integrali, frutta, verdura, frutta secca, carni magre e pesce. Una dieta ricca di fibre, in particolare, può aiutare la funzionalità epatica.
Si sconsiglia, per gli stessi motivi, di consumare alcolici e di non essere in sovrappeso, ovvero di mantenere un peso forma adeguato a sesso ed età.
Una volta iniziato il trattamento, possono essere necessari da 6 mesi ad alcuni anni prima che la malattia vada in remissione. Potrebbe essere necessario riprendere la cura dopo averla interrotta o continuare il trattamento per tutta la vita.
Con un trattamento adeguato, l’epatite autoimmune può essere controllata portando a rallentare la progressione della malattia e alla limitazione delle complicazioni.
Chi soffre di epatite autoimmune, quindi, può avere un’aspettativa di vita normale.
Chi soffre di tale patologia ha diritto all’invalidità civile come da DM del 05.02.1992. A tali soggetti, l’invalidità spetta nella misura del 51% secondo la tabella che stabilisce il grado di menomazione e la riduzione della capacità lavorativa del malato in base al suddetto Decreto.
Nonostante la pandemia non sia ancora conclusa, la vaccinazione contro il Covid ha comunque portato ottimi risultati a livello mondiale. Sebbene non si discuta sull’efficacia dei vaccini, però, recenti studi in merito suggeriscono una correlazione tra questo e lo sviluppo di malattie autoimmuni. I ricercatori ritengono che il vaccino possa disturbare l’auto-tolleranza e innescare risposte autoimmuni.