Farmaci equivalenti, tutti i dubbi (e le speranze) degli italiani
Chi li ha provati e si è trovato bene li utilizzerebbe di nuovo, ma la resistenza nei confronti dei "generici" è ancora tanta. Faranno davvero male?
Vi curereste mai con un “generico”? Stando ai risultati di un’indagine Doxa presentata oggi a Milano, se avete già provato una volta ad assumere dei farmaci equivalenti è altamente probabile che la vostra risposta sia affermativa. Infatti il 73% degli italiani che in passato hanno assunto un farmaco equivalente e ne è rimasto soddisfatto, pari al 77% del campione intervistato, ha dichiarato di essere propenso all’uso dei generici. Il 70% è anche favorevole alla loro diffusione e il 68% dei cittadini ritiene che abbiano reso accessibili delle cure e delle terapie che altrimenti non sarebbero state accessibili a tutti.
Il quadro dipinto è quindi positivo, almeno dal punto di vista del paziente. Infatti da quando, con la scadenza dei brevetti rilasciati alle industrie farmaceutiche, il mercato ha iniziato ad offrire anche queste varianti di medicinali già ben noti e ampiamente utilizzati le polemiche non sono affatto mancate. Uno il dubbio predominante su tutti: i farmaci equivalenti sono davvero efficaci tanto quanto la loro controparte “di marca”?
In realtà molti esperti hanno già tentato di rassicurare i pazienti, ribadendo più volte che i cosiddetti generici contengono la stessa quantità dello stesso principio attivo presente nel farmaco “famoso”. Non solo, la forma farmaceutica (granulato, compresse e così via dicendo) e il modo di somministrazione non cambiano e la legge impone che debbano rispondere agli stessi criteri di sicurezza, efficacia e qualità rispetto alla versione di marca.
Ciononostante gli italiani sono ancora un po’ confusi e mantengono vivi i dubbi sul fatto che i farmaci equivalenti possano curare patologie gravi, sulla sicurezza dei loro eccipienti e sulla loro tollerabilità. Gli autori dell’indagine sottolineano che da questo punto di vista
un ruolo fondamentale di consiglio e di informazione è quello svolto dal medico e dal farmacista.
Il medico rimane un punto di riferimento per il paziente perché garantisce attenzione e ascolto fornendo una prima risposta ai suoi bisogni di salute. Proprio per questo è in grado di influenzare fortemente l’opinione del paziente, anche in merito agli equivalenti.
Il farmacista è tenuto a proporre l’alternativa generica. La positiva percezione degli equivalenti da parte del farmacista si riflette sulla frequente proposizione ai pazienti di questa alternativa.
La strada verso la riduzione della spesa sanitaria
Dubbi a parte, il 56% degli italiani crede che un ricorso più diffuso agli equivalenti permetterebbe di ridurre la spesa sanitaria e di investire più risorse economiche in nuove cure.
I farmaci equivalenti
ha commentato Claudio Distefano, presidente di Fenagifar, la Federazione Nazionale Associazioni Giovani Farmacisti,
rappresentano uno strumento utile a generare un meccanismo virtuoso di riduzione della spesa sanitaria pubblica, garantendo un eguale livello di qualità delle cure per i cittadini.
Inoltre viene riconosciuto che, grazie a una maggiore interazione tra farmacista e paziente, soprattutto riguardo all’interpretazione e alla spiegazione del farmaco prescritto e la verifica della corretta posologia si possa migliorare la compliance, e quindi, l’efficacia della cura, con il farmaco equivalente.
La resistenza all’uso dei generici sembra, quindi, una pura questione psicologica. Se anche voi avete ancora qualche dubbio, potete trovare qui qualche informazione in più su cosa comporti rinunciare alla “marca”.
Via | Quotidiano sanità