Benessereblog Salute La sonnolenza diurna aumenta il rischio di Alzheimer

La sonnolenza diurna aumenta il rischio di Alzheimer

La sonnolenza diurna è collegata a un maggior rischio di Alzheimer? Ecco cosa rivela un nuovo studio.

La sonnolenza diurna aumenta il rischio di Alzheimer

Sonnolenza diurna e Alzheimer sono collegate? A cercare di rispondere a questa domanda sono stati i membri della Mayo Clinic, che in uno studio pubblicato su JAMA Neurology hanno rivelato che, oltre ai primi classici segnali di demenza e Alzheimer (come la perdita di memoria ad esempio), gli esperti dovrebbero tenere in considerazione anche altri aspetti meno noti, come la sonnolenza diurna. I ricercatori spiegano infatti che la sensazione di sonnolenza durante il giorno rappresenta un sintomo comune dell’invecchiamento, e che tale sonnolenza può essere collegata a svariati problemi di salute.

Diversi studi hanno inoltre dimostrato che l’eccessiva sonnolenza diurna negli anziani è collegata a un maggior rischio di declino cognitivo. La causa di tale fenomeno potrebbe trovarsi nella produzione di beta-amiloide, un composto il cui accumulo eccessivo è stato osservato nella malattia di Alzheimer. Ricerche precedenti hanno suggerito che dormire bene la notte potrebbe aiutare ad eliminare la beta-amiloide dal tessuto cerebrale. Ciò può implicare che un ciclo di sonno disturbato (spesso causa della tanto odiata sonnolenza diurna) potrebbe avere l’effetto opposto, permettendo così a questo composto dannoso di accumularsi.

Per esaminare la questione gli esperti hanno analizzato i dati di 283 partecipanti over 70, nessuno dei quali aveva ricevuto una diagnosi di demenza. Al momento del reclutamento tutti avevano completato dei sondaggi sul livello di sonnolenza diurna, e durante il follow up hanno accettato di sottoporsi ad almeno due scansioni del cervello.

Esaminando i dati gli esperti avrebbero scoperto che 63 partecipanti soffrivano di evidente sonnolenza diurna, e proprio in queste persone si sarebbero registrati aumentati livelli di beta-amiloide in due regioni rilevanti del cervello. Come sottolineano gli esperti, grazie a ricerche di questo tipo, si potrebbero mettere in atto degli interventi precoci sugli individui più vulnerabili allo sviluppo della malattia.

via | MedicalNewsToday

Foto da iStock

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