
La pandemia che stiamo affrontando ha cambiato molto il concetto di “lavoro“. Molte persone hanno scoperto cosa è lo “smart working“, mentre molte altre, considerate “dipendenti essenziali“, devono ancora recarsi sul posto di lavoro e quindi uscire da casa.
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In un contesto del genere, in cui la quarantena e il rischio di contagio da coronavirus stanno già mettendo a dura prova i nostri nervi, non possiamo fare a meno di domandarci quanto il lavoro stia influendo sulla nostra salute psicologica e fisica.
A rispondere a questa domanda è un nuovo studio pubblicato sul Journal of Applied Psychology e condotto dai membri dell’Indiana University Kelley School of Business, i quali spiegano che la nostra salute mentale e il nostro rischio di mortalità sono strettamente collegati alla quantità di autonomia che abbiamo sul posto di lavoro, al carico di impegni e alle richieste che ci vengono fatte, oltre che alla nostra capacità cognitiva di gestire tali richieste.
Quando le richieste di lavoro sono superiori al controllo o alla capacità che abbiamo di far fronte a tali richieste, si verifica un deterioramento della salute mentale e, di conseguenza, aumentano le probabilità di morte,
spiegano gli autori dello studio, i quali aggiungono che un maggiore livello di stress sul posto di lavoro è collegato anche a un maggior rischio di soffrire di depressione e di andare incontro a morte precoce.
Il COVID-19 potrebbe causare più problemi per la salute mentale, quindi è particolarmente importante che il lavoro non aggravi questi problemi. Ciò include la gestione e forse la riduzione delle richieste dei dipendenti, la consapevolezza della capacità cognitiva dei dipendenti nel gestire le richieste e la possibilità di fornire ai dipendenti la necessaria autonomia.
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via | ScienceDaily
Foto di PublicDomainPictures da Pixabay