Scoperta nuova malattia genetica: priva i bambini delle lacrime
Fondamentale il ruolo dei social network, che hanno permesso di identificare i piccoli pazienti affetti dal disturbo
I ricercatori dell’Università di Stanford hanno identificato una nuova malattia genetica caratterizzata dall’assenza della produzione di lacrime nei bambini che ne sono affetti. A permettere la scoperta, pubblicata sulla rivista Genetics in Medicine, è stata la combinazione tra le moderne tecniche di sequenziamento genetico e le informazioni disponibili sui social network, che hanno permesso agli scienziati di individuare bambini affetti da questa malattia.
Il primo caso è stato quello di una bambina di tre anni che oltre all’assenza di lacrime mostrava problemi nei movimenti, ritardo nello sviluppo e problemi al fegato. Infatti questa malattia, battezzata “carenza di NGLY1” provoca contemporaneamente disturbi neurologici, muscolari, oculari ed epatici. Alla sua base ci sono mutazioni nel gene codificante per la N-glicanasi 1, un enzima in grado di “riciclare” le molecole difettose che possono essere prodotte da una cellula. Normalmente presente in tutto l’organismo, questo enzima aiuta a degradare le proteine difettose in modo da poter riutilizzare il materiale con cui sono state costruite. In presenza delle mutazioni identificate l’enzima non viene prodotto e nel fegato dei bambini si accumula una sostanza amorfa che secondo i ricercatori potrebbe essere formata dalle proteine che non vengono degradate.
I dubbi da chiarire sono però ancora molti.
Non sappiamo in che modo la carenza di NGLY1 causi i disturbi neurologici osservati nei bambini che stiamo trattando
spiega Gregory Enns, uno dei responsabili dello studio.
Il lavoro inizia proprio quando si trova il difetto genetico.
A tal proposito, è lo stesso Enns a sottolineare che l’identificazione del gene responsabile della malattia è stata così rapida proprio grazie alla collaborazione tra i ricercatori e le famiglie. Infatti dopo aver contattato il padre di un altro bambino con sintomi molto simili a quelli della prima paziente è stato proprio quest’ultimo a identificati altri 6 casi in tutto il mondo.
I social network aiutano i genitori a raccogliere e a condividere opinioni
ha commentato Matt Wilsey, il padre della prima paziente, aggiungendo anche che attraverso la rete
i ricercatori possono condividere i loro insuccessi, rendere pubblici i loro risultati negativi in modo che altri non commettano gli stessi errori.
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